Il sensore uomo

In chimica il sensore è la sonda capace di determinare il tipo e la quantità di sostanze contenute in sistemi materiali di vario tipo. In natura il sensore è l'uomo, capace di determinare la natura e l'intensità di tutto ciò con cui entra in contatto. Enorme la nostra capacità sensoriale, sempre accesa, sensibilissima. Prescindente dalla nostra coscienza di essa (che noi ce ne rendiamo conto o meno, i nostri rilevatori sono sempre in azione, perfino quando dormiamo). Sentiamo in continuazione ed in modo evidentissimo, salvo poi soppesare e valutare rarissimamente, senza metodo e continuità, ciò che i nostri organi di senso, rilevando, trasducono in uscita al cervello con intensità analoga a quella di entrata. Nel prossimo paragrafo mi soffermerò sull'importanza dell'attenzione percettiva, qui tengo a indurre ognuno di voi ad appropriarsi intimamente del seguente - vero - concetto: come degustatore sono una belva. Perché questo? Perché siamo fatti in modo da essere così sensibili da risultar autoprotetti. Sensibilità = sopravvivenza = capacità di preservare se stessi intatti ed immutati, ovvero in condizioni vieppiù migliori. Sentiamo bene per potere vivere, e bene.
Ecco perché il nostro occhio è un obiettivo di immaginifica versatilità e perfezione; ecco perché il nostro naso è radar e sonar; ecco perché la nostra bocca è una bilancia ponderale di assoluta precisione, capace di avvertire micrometriche variazioni di consistenza e di sapore in ciò che per essa passa e poi giace.

Chiamo a rendere idea della spaventosa capacità dell'occhio di vedere, la facoltà di distinguere colori infinitamente sfumati, così connaturata alla nostra esistenza, da poter non avere la coscienza che tra un punto di tinta ed un altro la differenza è magari 0,02 micron di lunghezza d'onda.

Chiamo a rendere idea della spaventosa capacità del naso di odorare, la facoltà che particelle insoppesabili esercitano quando percepite in un profumo da un uomo: il ricordo dell'emozione di un sentimento.

Chiamo a rendere idea della spaventosa capacità della bocca di avvertire micrometriche variazioni di consistenza e di sapore al suo interno, sì, chiamo un capello. Un capello in bocca: un tronco in un ruscello. Qualsiasi cosa qualsiasi uomo stia facendo, se per caso avverte un capello in bocca si interromperà subito per togliere quello che la lingua sente come un fastidiosissimo, enorme palo. Ciò quando il diametro del capello è mediamente di qualche micron di millimetro. Nessun individuo dubiti quindi mai dell'assoluta straordinarietà delle proprie capacità sensoriali. Straordinarietà straordinariamente naturale. Nessuno quindi mai dica a se stesso: io non sono capace di sentire per degustare. Sarebbe come dire: io non sono capace di respirare per vivere.


L'attenzione, ovvero la percezione intellettiva delle sensazioni

Così come una radio senza antenna trasmette ma non riceve, senza attenzione intellettiva si sente ma non si percepisce. Senza percezione la sensazione è vuota, cioè priva di significato. L'uomo è un recettore sensoriale ambulante, sempre acceso, sempre naturalmente e perfettamente capace di registrare sensazioni. Ma per esserci percezione deve esserci attenzione. Voi ora mi state leggendo con attenzione, per questo non percepite il rumore di fondo che in questo momento c'è sicuramente ove voi siete. Fermate la lettura, deviate la vostra attenzione dalla comprensione delle mie righe al rumore di fondo. L'avete percepito. Cioè sentito + pensato. Prima lo sentivate solo, ma non lo percepivate. Si devono intelligere le sensazioni: gli impulsi rilevati e trasmessi dagli organi di senso al nostro nucleo cogitatore, solo ove da questo elaborati rendono l'essenza qualitativa dell'entità da cui promanano. È cosi che in virtù della sua capacità intellettiva e logico deduttiva solo per l'uomo la sensazione è descrittore.
La sensazione senza attenzione percettiva è istinto. La sensazione senza pensiero non illustra né spiega ciò che trasmette. Non si può guadagnare sensibilità, ma si può sviluppare la capacità di percepire. La sensibilità è fattore congenito insviluppabile. Infinitamente sviluppabile è invece la percettività. Cioè la capacità di comprendere intellettivamente il portato delle sensazioni. 

Chiudiamo gli occhi per pensare a ciò che abbiamo sentito. Sforziamoci di leggere con il pensiero quello che abbiamo sentito. Analizziamo nel dettaglio il portato qualiquantitativo di ogni sensazione, e per far questo ripetiamo la sensazione sino a che non sentiamo di avere esaurito la sua comprensione. Per guadaganare capacità di percezione occorre forzare e ripetere anche mille volte la sensazione. Non si può dire quante volte, saranno le volte necessarie a percepire sempre con maggiore chiarezza e precisione ciò che si sente. L'organo recettore, ad esempio il naso, deve essere collegato con il cervello talmente fortemente e direttamente - totalmente e continuativamente -, da divenire il cervello. In testa si deve sentire il profumo di un vino. Sempre nel cervello si deve sentire la viscosità di contatto del vino. Chi collega la sensazione alla percezione, chi collega l'occhio, il naso e la bocca con il cervello, è sempre l'attenzione. Senza attenzione non esiste nessun uomo capace di percepire, cioè di valutare quello che sente. Non esistono allora persone che non sanno degustare, cioè che non sanno valutare la qualità del vino, esistono persone che non analizzando con attenzione ciò che sentono, non percepiscono la qualità sensoriale quindi analitica di ciò che assaggiano. E pensiamo qui alla differenza tra gli esseri umani e gli animali, loro dai sensi assai più forti ma meno dotati in comprendonio, noi "superiori" giacché più capaci di loro di intendere ciò che pure meno forte e chiaro sentiamo.

Se sin qui non siete stati attenti alle sensazioni che i vari vini e cibi profondevano al contatto con voi stessi, se da oggi comincerete a valutare con attenzione, a pensare agli effetti che la vostra sensibilità registra ove mossa da un dato vino, vi stupirete della velocità e della chiarezza con cui è possibile percepire la qualità essenziale di ciò che andrete degustando. L'oggetto dell'analisi, il vino, muove i sensi che il cervello interpreta. Con il soggetto che deve essere l'attenzione. Appropriamoci mentalmente della nostra capacità di sentire, esercitiamo la coscienza percettiva delle naturali facoltà sensorie dell'uomo, ed anche un micro-granulo di polvere si staglierà ai nostri sensi come un iceberg gigantesco.

La sincerità e l'immediatezza delle sensazioni

Qualsiasi sensazione, ancorché immediata, è di per sé vera. Gli organi di senso non sbagliano mai nella ricezione e nella trasmissione, mentre sbagliata può essere più o meno frequentemente la percezione intellettiva della sensazione. Tanto meno direttamente ed attentamente pensiamo a ciò che abbiamo sentito, tanto più possiamo male interpretarlo. La prima snasata, la prima impressione di sapore è quella vera. Di quella dobbiamo renderci e rendere conto, nonché fornire valutazione. Valutiamo la qualità del vino in base alle sensazioni che dal contatto con esso generano. Non valutiamola in base ad astratte idee qualitative. E tanto più sinceramente daremo conto di ciò che registrano i nostri sensi, tanto più varremo come degustatori, cioè come analisti sensoriali.

Rapporto vino-degustatore: come funziona l'analisi sensoriale

Un vino risulta ai sensi di chi lo degusta per come è composto chimico-fisicamente. Allo stesso modo in cui il sapore di qualsiasi preparazione gastronomica dipende dalla qualità e dalla quantità degli ingredienti presenti, il sapore di un vino dipende dalla qualità e dalla quantità dei suoi componenti.

La degustazione è quindi un esame organolettico (attraverso gli organi di senso occhio, naso e bocca) di un'effettiva realtà analitica (l'assieme dei costituenti del vino). Il componente chimico-fisico del vino, ad esempio lo zucchero, provoca lo stimolo che recepito dall'organo sensoriale (occhio, naso, bocca) riflette la sensazione che viene poi interpretata e percepita dal cervello come dolcezza. I componenti del vino sono gli agenti delle sensazioni. Un semplice rapporto di causa ed effetto. Compresi e sperimentai quanto sopra all'inizio della mia professione, quando mi chiesi: come funziona la degustazione? Il variare di che cosa nel vino determina il variare del suo risultare ai sensi? Quale il rapporto tra vino e degustatore? Immediata e logica la risposta. 

Il vino è un assieme di composti chimico-fisici ognuno e l'assieme dei quali sono causa di una stimolazione sensoriale. L'effetto di tale stimolazione sono le sensazioni che il degustatore percepisce assaggiando. La prestazione organolettica di qualsiasi vino dipende in sostanza dalla sua composizione chimica. Ma, allora, se questo è vero come è vero, e se questo, come è altrettanto vero, è sempre vero, è possibile studiare scientificamente la correlazione esistente tra la composizione chimica del vino e la sua performance sensoriale, così da individuare il profilo compositivo del vino che dà luogo a qualità organolettica, a piacevolezza, e quello che dà luogo a disqualità, cioè a spiacevolezza.
Fondai allora una nuova branca della degustazione: l'analisi sensoriale-chimica. Acquistavo un dato vino in numero di 2 bottiglie, la prima la degustavo, ne fornivo scheda descrittiva e valutazione in centesimi; la seconda la inviavo in laboratorio e mi facevo fornire il profilo analitico con la titolazione dei 21 parametri macroparametri chimici compositivi. In una pagina della mia rivista tecnica, in una rubrica all'uopo creata e denominata "L'Indagine: analisi sensoriale-chimica", pubblicavo prima la scheda valutativa, quindi il profilo chimico, quindi commentavo la prestazione sensoriale alla luce della conoscenza del suo profilo chimico. Coadiuvato dal Professor Aldo Fioravanti, dopo cinque anni di studio e di ricerca e dopo aver sottoposto ad analisi sensoriale-chimica oltre 200 vini, sono riuscito a determinare in una formula la struttura chimica della piacevolezza del vino. Noto è adesso il profilo analitico che deve avere qualsiasi vino per risultare piacevole all'assaggio, e viceversa. Noto altresì è l'agente chimico fisico di ogni sensazione percepita, sia essa buona o cattiva. Noto il variare di ogni sensazione al variare qualitativo e quantitativo dell'agente chimico fisico originante e degli altri componenti del vino. Conoscenze che ove applicate alla produzione dei diversi vini, per mezzo di uno sviluppo viticolo ed enologico mirato, consentono la riproducibilità tecnica di un dato indice di piacevolezza. Vini sistematicamente, non più - mai più - casualmente piacevoli.


La volontà di degustare

Degustare è diverso da bere. L'assaggiatore non è un beone. Degustare vuol dire determinare l'indice di qualità-piacevolezza del vino in esame. Ciò attraverso la misura dell'intensità dei tre parametri qualitativi che lo determinano (consistenza, equilibrio, integrità). Degustare non vuol dire bere il vino per goderne degli effetti piacevoli e inebrianti. Il degustatore è sobrio perché sa che per degustare è fondamentale la piena presenza mentale. Grande attenzione è necessaria per pensare e per capire ciò che i nostri sensi registrano quando entrano in contatto con un vino. Per degustare è quindi determinante avere la volontà di farlo. La volontà di rapportarsi al vino in modo attento e tecnico, non conviviale. Con il vino, comunque e naturalmente offerente un dato stock di stimolazioni, e con chi si avvicina ad esso a decidere tra approccio edonistico e tecnico. La stessa opzione praticabile di fronte ad una pagina scritta tra lo scorrerla velocemente ed il leggerla attentamente.

Atteggiamento del degustatore

Detto della volontà di degustare, fattore alla base di un assetto tecnicamente corretto confronto al bicchiere, il degustatore per ben operare deve avere a mente i seguenti criteri ispiratori. Quando si degusta si è più animali che umani. Non bisogna essere preoccupati di come si appare mentre si degusta, bisogna invece fare in modo di sentire il più possibile. Talvolta, quando guido degustazioni in pubblico, chiedo alla sala se percepisce un dato odore, un dato particolare sensoriale del vino in esame. I partecipanti si avvicinano con il naso timidamente al bicchiere, inspirando l'aria con il viso a dieci e più centimetri dal cristallo. No! Il naso deve essere dentro al bicchiere, possibilmente inclinato da un lato, così da offrire alla corrente odorosa una superficie maggiore di mucosa sensibile ai profumi. La punta del naso deve quasi toccare il disco vinoso, l'inspirazione profonda, ripetuta quanto necessario, gli occhi chiusi quando si pensa a ciò che il nostro naso ed il nostro palato sentono, con ciò percependo la natura e l'intensità del flusso odoroso e gustativo. Si deve performare per sentire. Ogni parte del nostro corpo deve essere a ciò tesa. Totale la partecipazione dell'organismo e delle facoltà intellettive alla percezione. Lo spirito giusto è quello della sfida. Il vino in esame è il mio nemico sino a che non ne ho individuato la consistenza, l'equilibrio, l'integrità, ossia il suo indice di qualità-piacevolezza. E con il nemico non si scherza. Lo si studia a fondo, lo si brucia, lo si consuma con il naso e con il palato sino ad aderire completamente alla sua natura. Sino a compenetrarci in esso. Se decidendo di avvolgere un pezzo di formaggio con la pellicola trasparente faccio aderire la pellicola al formaggio con la massima precisione possibile, senza che neanche una piccola grinza separi l'involucro dal contenuto, la pellicola non si vede più: diventa il pezzo di formaggio. Ecco, il degustatore deve aderire al vino, deve aderire alla natura del vino in esame sino a divenire esso. Occore spalmarci sul vino in esame, quindi ritrarci senza lasciare alcuna traccia. Il degustatore è una bilancia ed un reporter: pesa con la massima precisione l'intensità dei tre parametri determinanti la piacevolezza del vino in esame, quindi rende conto con la massima fedeltà possibile delle sensazioni registrate durante il contatto sensoriale con il vino esaminato.
 

Le sensazioni: analisi e tempo d'analisi

In nessuno dei tanti libri di degustazione letti prima di divenire scrittore di vino vi erano indicazioni sulla natura e sulla percezione delle sensazioni. La sensazione è immateriale, motivo per cui è difficile pensarla, parlarne, descriverla. Non materia che nasce da materia, e che se può essere avvertita può essere studiata e illustrata. Essendo labile, volatile, richiede grande attenzione per essere colta, grande insistenza per essere prima conosciuta, poi riconosciuta, in ultimo pesata. Non si abbia paura di iniziare a studiare le sensazioni che si registrano entrando in contatto con il vino. Così come ciascuno di noi non troverebbe affatto difficile descrivere un colore, allo stesso modo, con parole e pensieri propri, si descriva il profumo ed il sapore che sentiamo assaggiando un vino. Si abbia tanta umiltà, non si abbia paura di chiedere nulla a nessuno, né di confrontarsi con gli altri. Si sia quanto più veri possibili, concentrati e metodici. Ci si cominci a porre i quesiti più banali sulle sensazioni. Ove banali sta per essenziali. Che natura ha questo profumo? E' acido, amaro, morbido, è pulito, è denso, è fresco. Che mi ricorda? Quando l'ho sentito prima? E che intensità ha? Si riprenda con l'inspirazione questo profumo dal bicchiere le volte necessarie a sentire e capire di più. Non c'è tempo limite. In degustazione il tempo non è fattore qualitativo. Ognuno si prenda il tempo necessario a stimare con la massima precisione possibile l'intensità e la natura dei parametri qualitativi, delle sfumature, della natura complessiva del vino in esame. E si ricordi, tanto più lungo ed attento lo studio, tanto più precisa la valutazione, tanto più definita percò indelebile la memorizzazione. Tanto più esperto e capace come analista sensoriale, il degustatore.

L'ambiente e la disposizione dell'ambiente

Il luogo e il modo in cui la degustazione viene effettuata influenzano come nessun altro fattore il risultato del tasting. All'inizio della mia attività, inesperto come è naturale, degustavo tecnicamente nei modi più diversi (senza un vero e proprio metodo), e nei posti più diversi. Accadeva così che il vino X degustato nel posto Z e nelle condizioni Y risultava ai miei sensi diverso da come appariva se degustato nel posto W e nelle condizioni K. Lo stesso Barolo degustato in cantina dal produttore mi sembrava morbido e armonico, al ristorante acido e tannico, a casa di amici alcolico e corto. Compresi quindi che per divenire affidabile come degustatore, per misurare con precisione la qualità di tanti diversi vini dovevo usare lo stesso metodo e dovevo degustare quanto più possibile nel medesimo ambiente. Lo stesso vino finì così di rivelarsi diverso da se stesso, riproponendo nel secondo, nel terzo e in ogni successivo assaggio la consistenza, l'equilibrio, l'integrità poste in luce nel primo. Ecco allora: se si degustano sempre nello stesso luogo e nelle medesime condizioni ambientali tanti vini diversi, l'unica cosa che cambia da un assaggio all'altro sono proprio i vini stessi. Si riconoscono meglio le variazioni di sostanza se la forma in cui si presentano è identica.


La comparazione

Per valutare l'intensità dei tre parametri determinanti la qualità-piacevolezza del vino è importante comparare simultaneamente più di un vino. Un campione che in assoluto siamo portati a definire come ricco, paragonato ad uno più fitto potrà risultare scorrevole; uno che ci sembra equilibrato in assoluto, posto in relazione ad uno ancora più armonico potrà rivelarsi acido; uno che ci sembra pulito potrà risultare perturbato rispetto ad un altro più integro. Comparare più vini nel corso del medesimo assaggio serve in primo luogo a percepire con sostanziale veridicità l'intensità dei tre parametri che ne determinano la qualità (comparare fra loro i vini è assolutamente utile per valutare con precisione - tramite confronto - l'intensità della loro consistenza, del loro equilibrio e della loro integrità). Serve in secondo luogo a identificare con precisione un prototipo di vino massimamente consistente, equilibrato, integro, con cui comparare tutti gli altri vini assaggiati. Si misura infatti la consistenza del vino in esame comparandola a quello del vino più ricco che si sta degustando, oppure comparandola a quella (memorizzata) del più consistente vino dello stesso tipo valutato in passato. Un modello, un archetipo che deve perciò essere quanto meno approssimato possibile, e che si può fissare con precisione solo dopo numerosi assaggi comparati.


La memoria organolettica

Da quanto osservato nella precedente nota, un degustatore è tanto più affidabile quanto più vasta e definita è la sua memoria organolettica. Tanto più numerosi sono i diversi livelli di consistenza, equilibrio ed integrità memorizzati, tanto più precisa la valutazione dell'intensità dei tre parametri dei vini in assaggio. Utile per sviluppare una buona memoria organolettica la comparazione, fondamentale il metodo. Se ogni volta che degusto valuto un aspetto diverso in modo diverso, dei tanti vini assaggiati non memorizzo nulla. Non si memorizzano infatti comparazioni disomogenee. Il metodo invece promuove, rendendo quasi naturale, la memorizzazione delle caratteristiche di tanti vini diversi, analogamente degustati.

Accorgimenti utili per ben degustare
1) L'assaggio deve essere effettuato con il degustatore seduto sulla medesima sedia e nella medesima posizione rispetto allo stesso ambiente; l'identicità della postazione e della posizione esalta la percepibilità di ciò che varia (il vino dentro al bicchiere), e rende omogeneamente memorizzabile ciò che i sensi registrano.
2) La base del tavolo da degustazione deve essere di colore bianco, così da favorire e da non alterare l'effettuazione dell'analisi del colore.
3) Le condizioni d'illuminazione del luogo nel quale si effettuano le degustazioni deve essere sempre uguali; il vino deve essere fortemente illuminato, ottimo un lume poggiato sul piano bianco d'appoggio dei bicchieri, dotato di una lampadina da 100 Watt. Pressoché totale il buio circostante. L'attenzione necessaria a rilevare le sensazioni prodotte da un vino si matura e si tiene con maggiore facilità in un luogo buio; se tutto ciò che è fuori dal nostro cono di attenzione è al buio, concentriamo l'attenzione solo su ciò che è illuminato.
4) Si è più attenti e concentrati se si è soli. Se si degusta in pubblico, facciamo in modo di poterci lo stesso concentrare il tempo necessario per misurare l'intensità dei tre parametri determinati la qualità del vino. Andare in profondità con la propria attenzione è possibile ovunque e comunque: è fatto di volontà, di concentrazione, di allenamento.
5) È bene degustare a digiuno od a bocca pulita. Non mangiando anche per un'ora la saliva tende a ristabilire la propria neutralità. La bocca ed il liquido salivare registrano meglio sapori e viscosità di contatto ove privi di residue persistenze gusto-aromatiche dovute al recente consumo di cibi o di bevande. Dannoso a tal fine inframmezzare i vini in assaggio a cibi solidi di qualunque consistenza e sapore: le scorie non solo hanno gusto proprio modificante la manifestazione-percezione dell'equilibrio, ma interferiscono anche nella manifestazione-percezione della consistenza del vino.
6) Utile dare ritmo circadiano all'assaggio. I sensi pure sentono il tempo. Se ci abituiamo a degustare ad una data ora del giorno, a quell'ora il nostro apparato sensoriale diverrà particolarmente sensibile. Così anche funziona lo stimolo della fame, all'ora di pranzo e di cena si ha comunque più appetito.
7) I bicchieri impiegati devono essere sempre identici, neanche simili, rigorosamente in vetro o cristallo non lavorato (ottimali i bicchieri I.N.A.O. o I.S.O.).
8) Il livello di riempimento dei diversi bicchieri deve essere assolutamente identico; il vino fa tanto più colore e profumo quanto più presente in un bicchiere; un bicchiere più colmo di un vino poco colorato e profumato può risultare più carico di colore e di profumo di uno meno colmo di un vino molto colorato e profumato.
9) Importante che i bicchieri non presentino tracce residue di detersivo (contaminanti il gusto-aroma del vino).
10) Importante che le mani di chi degusta siano poco profumate.
11) I vini degustati devono avere tutti la stessa temperatura. Infatti: a) lo stesso vino più freddo risulta al tatto più consistente (lo yogurt in frigo tende a compattarsi, l'olio caldo è più scorrevole); b) il freddo rende meno percepibili i profumi e gli aromi (il difetto di tappo quasi non lo si avverte se si raffredda il vino a temperatura freezer). Ottimo quindi degustare i vini a temperatura ambiente. La temperatura media degli ambienti in cui è opportuno svolgere le degustazioni tecniche oscilla tra i 18 e i 27 gradi, valori termici che non prevedono l'alterazione, lo stravolgimento per troppo freddo o troppo caldo delle caratteristiche organolettiche dei vini. Tra l'altro, tendendo assai rapidamente a quella ambiente la temperatura di un vino raffreddato a piacere, è opportuno valutare i vini ad una temperatura simile a quella in cui vengono provati da tutti.
12) Il numero di campioni anonimi esaminati dovrebbe essere costante, può comunque oscillare tra un minimo di due ed un massimo variabile in funzione dell'esperienza del degustatore e dell'accuratezza dell'analisi che si vuole compiere. Bene procedere con almeno due vini per poter dar luogo alla fondamentale comparazione qualitativa delle sensazioni registrate. Per il degustatore dilettante, non più di venti come numero massimo in quanto è tale, a mio avviso, il limite di campioni vagliabili senza incorrere in fenomeni di stanchezza intellettiva od affaticamento sensoriale. Un numero in ogni modo proporzionato all'allenamento di chi degusta, per far sì che l'esame del primo come dell'ultimo campione avvenga in condizioni omogenee di concentrazione del degustatore.
13) L'assaggiatore deve essere munito di carta e penna o di computer per annotare le sensazioni registrate, per descrivere il profilo organolettico dei vini, per esprimere il proprio giudizio (se si vuole quantitativo) sulle qualità sensoriali del campione in esame. Per scrivere occorre riflettere e stare attenti, così come è utile fare per ben degustare. Annotando il risultato dei vari assaggi su un block notes o su apposite schede, si agevola la costruzione ed il progressivo ampliamento della nostra memoria organolettica. Scrivendo il risultato delle nostre osservazioni miglioriamo gradualmente le nostre capacità descrittive e valutative.
14) L'olfatto si stanca e si assuefa velocemente: per riguadagnare sensibilità alle narici è utile sottoporre ad olfazione tecnica un bicchiere I.S.O. pieno d'acqua; odorando il nulla (l'aria priva di profumo che si inspira dall'acqua) i canali olfattivi riguadagnano sensibilità. Tornando al vino dopo aver snasato l'acqua, il suo profumo che non riuscivamo più a cogliere ci risulterà chiarissimo.

Riconoscere i vini

La funzione della degustazione è quella di stabilire, attraverso un esame e una descrizione scrupolosa delle percezioni registrate, l'indice di qualità-piacevolezza di un vino. È totalmente falsa la credenza secondo cui un bravo degustatore è colui il quale riesce a riconoscere l'annata, il nome del vino e del produttore del campione che gli viene presentato in modo anonimo. La riconoscibilità non è un valore, e chi anzi rivolge la propria attenzione all'identificazione di un vino è un degustatore pessimo, incapace (perché disinteressato) alla valutazione della sua intima essenza qualitativa (la consistenza, l'equilibrio, l'integrità del suo gusto).


L'assuefazione alle sensazioni

Nell'interpretazione di una certa nota gustativa (positiva o negativa) si devono considerare la stanchezza del palato e il fenomeno di assuefazione: una risposta affievolita del recettore ad una stimolazione sempre uguale a se stessa. Il senso del gusto, così come quello dell'olfatto, si abitua subito ad una data sensazione: non è in grado di percepire a lungo uno stesso sapore od odore, anche se forti. Ad esempio: le persone si abituano al profumo che portano non cogliendone più la sovrapposizione e l'intensità; entrando in un garage si sente subito un odore deciso di benzina che dopo pochi minuti non si avverte più. È per questo che bevendo con regolarità vini difettosi non si è capaci di riconoscere il difetto. Un vizio che diviene normalità, talvolta addirittura pregio, per la frequenza con cui si presenta (i vinificatori artigianali reputano buonissimi i loro vini imprecisi perché non bevono quasi mai vini buoni). Taluni pensano che certi odori negativi percepiti ad inizio degustazione con il tempo si affievoliscono o spariscono: nulla di più fallace. Per quanto appena osservato quando si assaggia un vino con un difetto, questo risulta chiaro, nella sua natura e nella sua intensità, sin dalla prima olfazione o sorsata. Successivamente, per l'assuefazione che attenua fino a cancellare la percezione, il difetto sembra scomparso e il vino diviene quasi accettabile: in realtà è sempre lì, e per risentirlo nella sua interezza basta riaccostarsi al vino che lo presentava dopo qualche minuto, oppure basta comparare il vino difettoso ad uno pulito. L'ingerenza del vizio sarà immutata, la sua negativa influenza assolutamente uguale a se stessa.


La descrizione e le analogie di un vino

Per descrivere un vino basta illustrare la natura e l'intensità delle sensazioni registrate. Ciò sarà fatto nel modo e con il linguaggio che ogni degustatore sentirà essere il più naturale ed il migliore possibile. Una scheda sentita è una scheda ben fatta. Quanto alle analogie che il profumo o il gusto di un vino presenta: ridicolo e privo di alcuna utilità sforzarsi di ricercare singolari analogie proposte da un vino. Chi definisce un vino unicamente elencando i profumi più strani che questo evoca, dimostra di non essere un affidabile degustatore. Descriviamo prima la consistenza, poi l'equilibrio, quindi l'integrità di un vino, in pratica la sua essenziale qualità analitica, ovvero la sua capacità di risultare piacevole all'assaggio. Quindi, in via secondaria, l'eventuale presenza accanto al basilare frutto uva dei complementari richiami analogici diversi (rapporto di somiglianza tra i profumi e/o il gusto di un vino e i profumi e/o il gusto di un altro frutto noto e conosciuto). L'analogia ha in sostanza rilievo, può quindi essere citata, se e solo se proposta in maniera evidente e lampante dal vino. Un richiamo immediato, agevolmente recepito ed individuato da chiunque assaggi, non già dal solo degustatore. Se avvicinando il naso al bicchiere il profumo del vino ci impone di dire: "eh va bene ma questa è albicocca", allora nella scheda descrittiva possiamo-dobbiamo annotare che il vino richiama questo frutto. Una nota così pregnante da essere quindi da tutti avvertita, ed altrettanto immediatamente riconosciuta. Il motto del buon degustatore è il seguente: io scrivo per come degusto. L'immagine che più vale per descrivere la deduttività dell'azione descrittiva di un buon degustatore è la seguente: il vino ha in mano la penna di chi sentendolo lo descrive.

L'annata

L'annata determina la qualità del frutto. Vale quindi come proiezione del valore del 50 per cento del prodotto. L'altro 50 per cento lo vale la cantina. Una buona annata è condizione necessaria ma non sufficiente per l'ottenimento di un vino dall'alto indice di qualità. Certo è che a parità di capacità di trasformazione (capacità enologiche), tanto migliore è il decorso stagionale, tanto migliore è il frutto raccolto, tanto migliore è il vino prodotto.
Oltre a ciò c'è da considerare che la qualità degli operatori determina l'influenza del parametro annata. Un vignaiolo capace raccoglierà ad un indice di maturazione ottimale un frutto consistente. Uno meno capace comprometterà il buon esito stagionale con interventi inadeguati e/o intempestivi, raccoglierà quindi ad a un punto di maturazione non ottimale uva inconsistente o malsana. Un enologo capace riuscirà a trasmettere intatte nel vino le caratteristiche organolettiche dei frutti compositivi (senza distorsione e filtri). Uno meno capace comprometterà con interventi inadeguati e/o intempestivi l'originario patrimonio sensoriale dei frutti ottenendo un vino mediocre, niente affatto rappresentativo delle caratteristiche organolettiche delle uve raccolte. L'influenza del parametro annata è perciò direttamente proporzionale alle qualità tecniche del produttore, vera determinante del pregio essenziale di qualsiasi vino. Il Cru è l'uomo, nella produzione di grandi vini.

Per quanto detto è possibile che grandi annate possano dare piccoli vini, e che grandi vini possano nascere in annate medie o mediocri. Mai quindi acquistare un vino senza prima averlo degustato. L'equazione grande annata di grande produttore = vino buono, è raramente soddisfatta, e per questo occorre assaggiare sempre un campione di vino prima di farne stock per la propria cantina.

Vini e legno

Il passaggio del vino in legno durante la produzione può: 1) dotare di una dimensione aggiuntiva lo spettro gusto-aromatico del vino affiancando alle note del frutto quelle, altrettanto morbide e dolci, di spezie, di menta, di balsami esotici e suadenti, ecc.; 2) distorcere il gusto-aroma del frutto sovrapponendovi note estranee che con la dolcezza originaria dell'uva matura non hanno nulla a che vedere: caramello, legno bruciato, verdura cotta, catrame, ecc.

L'ipotesi 1) è quindi quella di un vino che rivela in assaggio il frutto originario, ben limpido e ricco di propri aromi, aumentato da un bonus di odori mentosi e balsamici, dolci, derivati dal rovere; una quota di profumi positivi che si va aggiungere a quelli altrettanto positivi propri dell'uva: un frutto elevato alla dolcezza delle spezie.

L'ipotesi 2) è invece quella di un vino che non dà frutto, ma che dà un qualcosa la cui radice è frutto, ma il cui prodotto è cupo, amaro, fumoso, acetoso o legnoso: la trasfigurazione dell'uva.

In ogni modo, per vedere realizzata la prima ipotesi (innalzamento del volume della dolcezza) occorre che i fusti impiegati siano recenti - meglio se completamente nuovi -, comunque non contaminati, e occorre pure che la sosta in legno non sia troppo lunga (pena l'ossidazione del vino e degli aromi ceduti dal legno). La seconda ipotesi (il frutto trasfigurato) si verifica quando il legno delle botti per la maturazione è vecchio e igienicamente malsano. Se non si hanno legni sani, a che vale porre il vino in fusti vecchi? Perché perdere il frutto? Meglio allora preservare il frutto e la sua freschezza ponendo subito il vino in vasche di acciaio o meglio ancora nel vetro delle bottiglie.

La lunga sosta del vino nel legno durante la produzione origina da due fattori: anzitutto nel passato non esistevano materiali alternativi per contenere il vino (acciaio, vetro, vetroresine, ecc.), secondariamente, vista la carenza di tecnologia, il vino non poteva essere stabilizzato in altro modo che lasciandolo lungamente nel legno (con le varie precipitazioni di sostanze compositive indotte dal mutamento termico del susseguirsi delle stagioni). Oggi che è possibile stabilizzare in altri modi il vino, oggi che esistono vasi di cantina di materiali diversi, il passaggio in legno viene praticato unicamente per acquisire la frazione aggiuntiva di aromi speziati. Il legno oggi è l'unica aromatizzazione consentita. Per quanto riguarda il bonus di dolcezza rilasciato dal legno occorre considerare che una permanenza troppo protratta del vino in barriques od in botti grandi può implicare comunque un costo in termini di qualità-piacevolezza complessiva. Il legno infatti può: 1) penalizzare l'integrità del vino diminuendone la pulizia per l'aumento dell'acidità volatile (agente quest'ultima dell'antifruttata sensazione di acetosità); 2) penalizzare l'integrità del vino diminuendone la novità per l'aumento dell'ossidazione; 3) penalizzare l'equilibrio del sapore dato il gusto amaro e rancido delle sostanze aromatiche cedute (acido vanillico = tannato di quercia) e/o dell'ossidazione promossa; 4) diminuire la longevità potenziale del vino per l'ossidazione promossa (i vini lungamente invecchiati non invecchiano a lungo). Occorre in definitiva trarre dal legno le spezie, che vengono cedute assai presto, ed evitare gli innalzamenti di volatile, le ossidazioni, gli imbrunimenti, e caramellizzazioni, le acidificazioni, soprattutto l'amarizzazione del sapore del vino, difetti che da un uso maldestro del legno possono irreversibilmente derivare al vino. Ricordiamo che la qualità del vino la fa il frutto, non il legno.


Consigli importanti per l'appassionato-consumatore-degustatore

1) Laddove frutto di attenta e metodica analisi, seguire sempre il proprio giudizio organolettico piuttosto che quello degli altri. Ciò che si sente è vero più di ogni altra cosa. Mai porre in dubbio le nostre facoltà sensoriali. Mai. Mai rinunciare alla propria valutazione sensoriale in favore di un'altra basata su idee astratte extra-sensoriali. Si guardi i bambini. Si provi a dire ad un bambino che l'alimento X, dal sapore spiacevole perciò rifiutato sdegnosamente, è di superiore qualità giacché raro, costoso, prodotto in pochi esemplari, in una annata particolare, frutto di secolari tradizioni e/o di processi produttivi all'avanguardia, si provi. Mai il bambino, perfetto degustatore giacché sensorialmente puro, abbandonerà, ritratterà, modificherà il proprio giudizio naturalmente fondato sull'essenza qualitativa di ogni alimento: sulla piacevolezza del suo sapore. Solo un sapore più piacevole muove più in alto il suo giudizio qualitativo su un prodotto assaggiato.
2) Per vedere aumentare le proprie capacità di lettura, di descrizione, di obiettiva valutazione del vino occorre sempre chiedersi riguardo a tutte le sensazioni registrate durante l'assaggio (e sempre trovare risposta al quesito nella loro attenta analisi): cos'è questa sensazione, dove origina e cosa produce?
3) Laddove l'appassionato, per mancanza di tempo, di stimoli o di denaro si renda conto di non poter degustare tanti vini da solo, può allora considerare l'opportunità di riferirsi ad una fonte (una guida od una rivista specializzata) per l'individuazione della qualità e per l'eventuale acquisto dei tanti vini disponibili sul mercato.
4) L'appoggiarsi acriticamente ad una fonte può produrre una cantina colma di vini cattivi. Prima di seguire una data fonte occorre saggiarne concretamente l'attendibilità. In questo modo: a) reperire un vino descritto dalla fonte la cui attendibilità si intende sottoporre a verifica; b) aprirlo e versarlo nel bicchiere; c) comparare la descrizione e la valutazione fornita dalla fonte con la propria, mediante analisi organolettica diretta. Riscontrare nel bicchiere la plausibilità di ogni osservazione compiuta dalla fonte, la verosimiglianza del profilo complessivo tracciato e la fondatezza del punteggio da questa attribuito. Ripetere questo esame ogni tanto (la fonte è umana, e come tale soggetta a mutazioni imprevedibili). Unicamente nel caso in cui l'appassionato trovi riscontri nel bicchiere, a seguito della prova descritta, alle affermazioni della fonte selezionata, questi potrà seguire la fonte medesima per gli acquisti.
5) Non considerare attendibili giudizi riportati o mediati da assaggi non tecnici. Non essere cioè motivati all'acquisto di un dato vino solo da commenti estemporanei di terzi, o da assaggi anche personali effettuati in circostanze e con metodiche non tecniche (dal produttore, al ristorante, nel corso di una fiera del settore, di una presentazione di un vino, ecc). Non comprare quindi mai un vino in quantità, quale che sia la fama del produttore e la caratura dell'annata di produzione, senza prima averne assaggiata in modo proprio almeno una bottiglia, o senza averne letto una recensione dettagliata e positiva fornita da una fonte di attendibilità comprovata.
6) Chi parla per ciò che ha sentito, è vero e può agevolmente argomentare le proprie opinioni. Chi parla per come ha letto o per come pensa, o non ha opinioni organolettiche, oppure, se le ha, non può proporle ed argomentarle giacché sensorialmente infondate.
7) Per chi comincerà a praticare la disciplina della degustazione con una certa sistematicità, le schede di degustazione saranno all'inizio scarne e sintetiche: cenni solo all'intensità dei caratteri organolettici fondamentali. Quindi, con l'aumentare dell'esperienza, si faranno progressivamente più articolate e complesse (non per questo meno vere): cenni anche ai caratteri organolettici complementari del vino in esame ed alle varie sfumature registrate. Infine, con la piena e consapevole acquisizione del metodo, le schede descrittive dei vini avranno la lunghezza che dovranno avere.
8) All'inizio della pratica è opportuno degustare campioni alla cieca per non essere in nessun modo condizionati. Con il trascorrere del tempo, venendo progressivamente meno ogni interesse per ciò che non è sensorialmente riscontrabile durante l'assaggio, degustare vini alla cieca o con la bottiglia di fronte sarà assolutamente indifferente: la lettura sarà comunque approfondita e dettagliata, il giudizio comunque obiettivo ed affidabile giacché si sarà sperimentato che l'unica sede di indagine interessante, l'unica fonte della conoscenza organolettica è il bicchiere con il vino in esso contenuto. L'unica cosa che importa quando si degusta in modo proprio, è valutare metodicamente l'obiettiva qualità sostanziale del vino in esame. Al di là di qualsiasi condizionamento è il piacere di conoscere veramente. 

Requisiti del buon degustatore

Per valutare in modo proprio l'indice di piacevolezza-qualità-fruttosità di un vino occorre in definitiva:
1) volontà: occorre avere intenzione di dare un giudizio tecnico analitico sull'indice di qualità-piacevolezza del vino in esame;
2) metodo: se si degusta senza applicare un metodo non si è analitici nella rilevazione, precisi nella valutazione, non si è veloci, non si memorizza ciò che si percepisce;
3) conoscenza applicata del metodo (esperienza): non basta la sola conoscenza teorica del metodo, occorre la pratica applicativa;
4) attenzione: solo il degustatore attento percepisce e valuta con precisione ciò che registrano gli organi di senso;
5) immediatezza, sincerità, deduttività e pregnanza nella valutazione e nella descrizione di ciò che si sente.