Luca Maroni non soltanto conosce il prelibato nettare d’uva ma, letteralmente, lo esplora addentrandosi in un suggestivo, quanto variegato, universo di sensazioni, sapori e gusti. È in grado così di “schedarlo” attraverso un metodo di analisi, semplice ma rigoroso, per poterne decifrare aromi e toni. Luca Maroni è un esploratore di sensazioni, un fedele amante di quell’intenso nettare rosso, amorevolmente protetto da scure e spesse bottiglie, che generalmente chiamiamo vino. Luca non è soltanto affascinato dal vino; per poterlo meglio indagare e, nei limiti, schedare, ha scelto di approcciarlo e analizzarlo grazie a un metodo quasi matematico, un metodo che possa portare ad un risultato – sempre verificato e verificabile – ottenuto tramite la somma di aromatici addendi sensori. Un metodo semplice, che muove dai sensi, che assegna un valore alle caratteristiche del vino e le raggruppa in insiemi di profumi e sentori. Tutto parte dall’uva.

L’uva che diventa vino, che si rivela al mondo e rimane in attesa di essere decifrato, capito, trascritto. “Il Vino muove i miei sensi e dà prova di sé in un insieme di composti che ne sono cause o agenti”. Nasce con questo intento “Sensofwine”, ora trasformato in un più diretto “I Migliori Vini Italiani”, Salone Nazionale itinerante dedicato ai migliori vini d'Italia e alle piacevolezze enogastronomiche, che parla e respira vino, nel buono e nel bello.

“Ho avuto la fortuna di innamorarmi di un oggetto dello scibile umano, meraviglioso, come il vino – mi ha raccontato Luca Maroni con voce piacevole, pacata e sicura – ho deciso di farne una professione; all’epoca non esistevano metodologie specifiche, tecniche specialistiche di analisi e nessuna che trattasse di degustazione nel senso stretto del termine, ed io volevo fare questo, volevo trovare un metodologia per valutare il vino. Questo lavoro me lo sono inventato. Non era pensabile che si potesse vivere di questo, di analisi sensoriale, di degustazione, di valutazione e di comunicazione sul vino”.

Come nasce Luca Maroni dal punto di vista professionale? 
Ho cominciato ad appassionarmi al vino nell’84, quando non molti se ne interessavano; oggi sono tantissimi, c’è molto da lavorare nel settore della comunicazione per diffondere l’idea che il vino non è alcool, ma una bevanda che presenta il 15% di alcool e profumo, aroma e le migliori uve d’Italia, valori molto grandi, storici e culturali. “Il vino muove i miei sensi e dà prova di sé in un insieme di composti che ne sono cause o agenti”.  Nel mio lavoro, bellissimo ed impegnativo, ho fatto in modo di essere sempre indipendente, dalla valutazione del vino fino ai produttori, ai quali non ho permesso di fare pubblicità sui miei media, puntando soprattutto sulla passione del pubblico e degli operatori che nel frattempo è cresciuta.

Quali sono stati i tuoi maestri e cosa ti hanno trasmesso?
Veronelli è stato il mio maestro, mi ha insegnato ad essere poetico nell’apprezzare la qualità di un alimento e saperla trasmettere. Il mio lavoro consiste nel trasferire le sensazioni per invogliare, quindi bisogna essere veri ed immaginifici al contempo, bisogna arricchire e descrivere nel modo più evocativo possibile tutto il buono che si è percepito nel vino. La descrizione non si deve mai sovrapporre al valore reale. La parola non deve mai superare il significato che porta.

Come si sviluppa e potenzia un olfatto così affinato e raffinato? 
Per sviluppare l’olfatto bisogna allenare la capacità del cervello di elaborare il dato che l’olfatto porta. Io ricordo che le prime volte che inspiravo mi arrivava un profumo di cui non sapevo leggere nulla, come se fosse buio, nero, poi piano piano si comincia a familiarizzare con ciò che i propri organi di senso trasmettono, a focalizzare e, grazie alla concentrazione, a pensare a quello che si è sentito.

Qual è la sensazione legata al vino che preferisce?
Dal punto di vista visivo nei rossi mi piace “il bluastro”, ovvero quel punto di rosso blu che si congiunge al viola e poi al nero, ed è un punto visivo che già anticipa un dato profumo e un dato sapore. Un dato cromatico che porta in sé la promessa di un determinato sapore.

Cos’è l’analisi sensoriale e quali sono le sue coordinate?
Occhi, naso, bocca. Gli organi di senso che ci consentono di orientarci nel mondo. Da qui parte l’analisi sensoriale che è la capacità di analizzare con il cervello quello che l’organo di senso porta. Nessuno di noi analizza le sensazioni. Io, invece, le esploro. Il dato più importante è la concentrazione e la capacità di tenere il cervello inchiodato. Il profumo arriva e porta tutto, basta saperlo decodificare: il sapore è matematica.

Come nasce una scheda sui migliori vini italiani?
La scheda è un concetto deduttivo perché è il vino che scrive la sua storia. È il bicchiere che parla, a me il compito di dover soltanto trascrivere quello che sento e valutarlo secondo un indice di piacevolezza calcolato in base a peso, consistenza, equilibrio e integrità.

Quali sono, a suo parere, i migliori vitigni italiani? 
Moscato, Traminer, Sauvignon Blanc, per i bianchi; tra i rossi Primitivo, Sangiovese, Cabernet, Aglianico, Valpolicella e chi volesse scoprire di più potrà consultare il mio portale o il mio Annuario dove è possibile trovare strumenti di informazione utili, nonché una ricca descrizione delle sensazioni legate alle degustazioni: 33 pagine di statistiche e graduatorie, informazioni e cenni storici sull’azienda produttrice, schede organolettiche e segnalazione delle aziende con attività di agriturismo.

Quali le zone a vocazione vitivinicola che dovrebbero godere di maggior valorizzazione?
Il vino è bellissimo perché è il volto dell’Italia e dei caratteri regionali che amministrano il tesoro della nostra nazione. Così ogni zona rispecchia la sua cultura, nonché la comunicazione e la divulgazione legate al suo vino.

Quanti vini assaggia durante un anno?
Degusto, ai fini stretti della degustazione, circa 15.000 vini l’anno. Ma sono molti di più se includiamo anche quelli che bevo per piacere personale.

Lei ha creato un business, un’azienda strutturata, tanta comunicazione attorno al vino e un evento itinerante, molto atteso e seguito che, da “Senseofwine”, ha recentamente preso il nome di “I Migliori Vini Italiani”. Perché cambiare nome?
Trovo che “I Migliori Vini Italiani” sia più in linea con l’essenza di quello che voglio comunicare, e ho voluto renderlo itinerante per raggiungere quelle zone dove c’è interesse, dove c’è pubblico, tenendo sempre presente che, per sviluppare un evento, bisogna soddisfare soggetti diversi per loro natura come produttori, operatori e pubblico, che inoltre nutrono differenti aspettative che non bisogna mai tradire.

Quali sono le prossime tappe del tour “I Migliori Vini Italiani”?
Milano, Firenze, Düsseldorf, Stati Uniti: portare il buono nel bello, cercando di promuovere e incentivare una tipologia di turismo enogastronomico che porti in sé l’esperienza della bellezza e della bontà a tutto tondo.